La demenza giovanile è un problema che non può essere più sottovalutato: lo rivela un recente studio svolto in Italia e che ha svelato numeri allarmanti.
Siamo abituati a pensare alla demenza come a una patologia di origine neurologica che colpisce le fasce d’età più avanzate, sicuramente la stagione finale della vita, con grave compromissione delle attività quotidiane, dell’autonomia personale e infine della memoria.
In realtà, la classificazione di questo tipo di malattie può essere piuttosto variabile e può riguardare, in maniera specifica, disturbi riconducibili all’Alzheimer, la demenza frontotemporale e anche soggetti all’apparenza completamente diversi dal punto di vista anagrafico e comportamentale.
Un team multidisciplinare di Unimore e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e dell’Ospedale di Carpi hanno svolto uno studio epidemiologico proprio per appurare quante siano effettivamente le persone affette da demenza giovanile, chiamata anche EOD, Early onset dementia. Ne è emerso che solo nella provincia di Modena sono stati identificati 160 nuovi casi tra le persone tra i 30 e i 64 anni, portando la prevalenza complessiva della patologia a 74 casi su 100.000 residenti.
Non sono pochi, soprattutto considerando quanto sembra lontano soffrire o diagnosticare un problema di questo tipo, che richiede sforzi sociali e previdenziali non indifferenti.
Si è capito anche che nella maggior parte dei casi, la EOD presenta fattori di rischio, sintomi peculiari e atipici che possono rendere più difficile la diagnosi corretta in tempi non troppo lunghi.
Un altro studio prospettico su ‘JAMA Neurology’ ha indicato tutte quelle caratteristiche che si sono rivelate predisponenti la malattia. Si passa da questioni sociali – come la minore scolarità, uno status socio economico più basso -, a fattori genetici e biologici, come la presenza dell’allele 2 dell’apolipoproteina ε4, elevati livelli di proteina C-reattiva. E occhio anche alla depressione, all’isolamento sociale e al consumo eccessivo di alcol: sono tutti campanelli di allarme che non si possono ignorare.
È importante anche avvertire i sintomi che si possono notare nella vita quotidiana, come una stretta di mano con minor forza o prime avvisaglie di disabilità uditiva, ma anche ipotensione ortostatica. Insomma, il ventaglio di fattori di rischio è ancora piuttosto ampio, ma prenderli in considerazione permette ai clinici di orientarsi il prima possibile verso una corretta diagnosi, con ricadute importanti sulla gestione a lungo termine dei pazienti, ancora in età lavorativa e con esigenze sociali.