L’Agenzia delle Entrate spiega le opzioni disponibili per la rivalutazione del TFR. Ecco la differenza tra metodo storico e previsionale.
Il TFR, o Trattamento di Fine Rapporto, è la somma di denaro a cui ha diritto il dipendente al termine del rapporto di lavoro subordinato, che ogni lavoratore decide entro 6 mesi dall’assunzione se mantenerlo presso il datore di lavoro o destinarlo alla previdenza complementare, indicando il fondo pensione scelto.
Il Trattamento è pari agli accantonamenti accumulati nel periodo lavorativo, a cui viene applicata una rivalutazione basata su un tasso composto. È proprio su quest’ultima su cui è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, con una risoluzione che riguarda il datore di lavoro.
Con la Risoluzione 68/E, arrivata giusto prima della scadenza del 16 dicembre (18 dicembre quest’anno), l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il datore di lavoro può determinare l’acconto dell’imposta sostituiva sulla rivalutazione del Trattamento accantonato in azienda in due modi: può usare il metodo storico o il calcolo previsionale. Ecco cosa vuol dire questa scelta.
Rivalutazione TFR, metodo storico o calcolo previsionale: la differenza
Ogni anno, il datore di lavoro deve versare l’acconto basandosi sul metodo storico, ma anche sulla rivalutazione della quota che verrà accantonata nell’anno in corso. Il Fisco precisa che l’acconto dell’imposta sostitutiva è calcolato sul 90% delle rivalutazioni effettuate nell’anno solare precedente.
Questo considera anche le rivalutazioni dei TFR erogati nell’anno in corso. Esiste, però, un’alternativa: l’anticipo può essere individuato presuntivamente, tenendo conto al 90% delle rivalutazioni maturate nell’anno in cui l’acconto è dovuto. Questo permetterà al datore di lavoro di scegliere di anno in anno la modalità di calcolo che ritiene più conveniente.
Nel 2023, il coefficiente di rivalutazione applicabile sarà molto sotto a quello del 2022, scendendo a 1,8% rispetto al 9,9% precedente. Questo avrà un grosso impatto sull’imposta a saldo, in arrivo il 16 febbraio 2024, e determinerà un credito da recuperare poi l’anno successivo, via presentazione del modello 770/2024 con potenziale apposizione del visto di conformità se superasse i 5.000 euro.
Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate ha concesso la possibilità di ricorrere all’indice di rivalutazione presuntivo, che sarà presumibilmente più basso nel 2023 rispetto a quello del 2022. Facendo così l’azienda dovrà pagare meno nell’immediato, e lo Stato eviterà di dover concedere un credito in futuro. Una soluzione ideale che evita problemi futuri sia per il datore di lavoro che per il Governo.